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domenica 4 settembre 2011

I-Day Festival 3/9/2011 - Believe the hype

Ho un gran mal di testa. Le gambe e le braccia non le sento più. Le mani sono rosse a forza di applaudire. La voce.. vabè dai, lasciam perdere. Tanti dolori fisici, ma anche tante emozioni che mi porterò dentro per sempre. La prima giornata dell'I-Day è stata, come da pronostico, davvero favolosa. Ripercorriamola:

La giornata è cominciata con la notizia che il cattivo tempo avrebbe fatto da headliner a questo festival, ma per fortuna era una notizia infondata vista la presenza del sole che ha picchiato sulle nostre nuche prima di entrare. La fila è stata un po' snervante, ma per la prima volta mi capita di vedere un'apertura cancelli puntuale se non addirittura in anticipo. Appena entrati ci postiamo subito a pochi metri dal palco e da lì non ci schiodiamo fino alla sera. Il primo gruppo a esibirsi sono gli Heike Has The Giggles, gruppo a noi sconosciuto ma che poi scopriamo essere italiano e di Ravenna (e capiamo anche perchè intorno a noi molti hanno una loro maglietta). Sarà stata l'emozione di essere davanti a quell'enorme palco, sarà stata la voglia di sentire finalmente un po' di musica, ma mi son piaciuti davvero tanto. Sarà che magari son davvero bravi. Sono in tre: lei cantante minuta con la chitarra che è quasi più grande di lei; un batterista e un bassista idolo delle folle che sul palco non sta fermo un attimo coinvolgendo molto il pubblico (ancora poco) presente. Mi hanno ricordato gli Yeah Yeah Yeahs senza convulsioni. Ne sentiremo ancora parlare.

Finiti gli Heike è il turno dei Morning Parade, gruppo britannico che ha collaborato in passato con gente del calibro dei Blur. Non hanno lo spirito e l'energia che hanno avuto gli Heike, ma mi hanno colpito lo stesso per come han suonato. Non ci ho dato molta importanza a loro, nonostante dei pezzi molto belli (vi consiglio questa: Under The Stars), poichè sapevo già chi sarebbe arrivato dopo. E lo sapeva bene anche il pubblico, molto contenuto in attesa del gruppo successivo. E allora andiamo avanti.

Da dietro il palco viene fatto montare un enorme striscione azzurro con raffigurate delle persone che si coprono il volto con una foto. Sopra di loro giganteggia una scritta bianca, quasi come fossero nuvole nel cielo: The Wombats. Sono molto emozionato all'idea di sentirli suonare, il loro album d'esordio (che ho anche suggerito qualche post fa) per me è stato una grande scoperta e mi ha aperto un intero mondo musicale.
Il loro ingresso sul palco è stato accolto da un boato e loro apprezzano con un timido e poco sobrio sorriso di circostanza. Pochi giochetti e si appiccicano subito agli strumenti. Dal momento in cui il cantante Matthew Murphy attacca le mani sul sintetizzatore per suonare Our Perfect Disease è un continuo saltellare su e giù del pubblico che inizia, finalmente, a scaldarsi. I pezzi più gettonati sono stati ovviamente i più famosi: Techno Fan, Anti-D (con la quale mi sono particolarmente emozionato), Tokyo, Moving To New York, Jump Into The Fog e in chiusura Let's Dance To Joy Division, suonata alla perfezione e cantanta a squarciagola da un pubblico infuocato. Bravi loro. Bravi Noi.

L'ora con i White Lies l'ho passata a insultarli. Vi spiego: il loro album d'esordio (To Lose My Life...) è davvero un album bellissimo, intoccabile ma, aimè, ailoro, hanno deciso di farsi letteralmente sputtanare con il secondo album (Ritual). Quando lo ascoltai la prima volta durò per ben quattro canzoni. Stoppato e cestinato. Quindi il mio rapporto con loro è quasi irreparabilmente deteriorato.
E anche live sembrano non essere dei gran genialoidi. Per carità, hanno suonato davvero da Dio, ma è abbastanza discutibile la scelta della scaletta: la carta jolly  To Lose My Life se la giocano quasi subito, e molte altre canzoni placano un po' il pubblico che si era ben riscaldato dopo il live dei The Wombats, se non per qualche incitamento del cantante Harry McVeigh. Comunque sia chiudono in bellezza con Bigger Than Us coinvolgendo un po' di più il pubblico e preparandoli per chi sarebbe venuto dopo.

Lo ammetto, io ero lì solo e soltanto per gli Arctic Monkeys. Il 14 marzo alle ore 10.49 avevo già il biglietto in mano e la band di Sheffield era l'unica che era stata annunciata. Ma mai e poi mai mi sarei aspettato di vedere il live più bello da parte dei Kasabian.
Il tempo iniziava a non essere dei migliori, quasi a conferma delle voci che giravano in mattinata, e il sole era calato da un pezzo. Sul palco dominava una gigantografia della scritta KASABIAN. I cori per il chitarrista Sergio Pizzorno (di ovvie origini italiane) erano iniziati da un pezzo e rispetto ai White Lies la zona sottopalco si era notevolmente riempita. Quando salgono sul palco è il delirio. Attaccano subito con Club Foot, prima canzone del loro primo cd, e mi ritrovo travolto dal pubblico che è letteralmente impazzito. Per non parlare di quando hanno fatto pezzi storici come Shoot The Runner, Underdog, una Vlade The Impaler a dir poco esplosiva, una inaspettatissima L.S.F. che dalle voci che giravano tra il pubblico non sarebbe stata eseguita, per poi concludere con quella che secondo il cantane Tom Meighan "is for you" (indicando il pubblico): Fire. Bellissimo, tanto per usare un eufemismo. I Kasabian mi hanno caricato e la giornata è stata lunga. Sono stanchissimo e penso di aver dato il 99% di me. Ma adesso sarebbero arrivati loro, e per loro avrei dato il 200%. E così è stato.

E' tutto buio. Io sono muto e immobile, paralizzato dall'emozione e dalla stanchezza. Finalmente avrei visto gli Arctic Monkeys. Finalmente salgono sul palco. Impazzisco.
Alex Turner sfoggia un nuovo taglio di capelli che si sistema e risistema durante l'esibizione, scimmiottando un po' Elvis un po' Fonzie di Happy Days. Come al solito sono freddissimi. A malapena salutano e si avventano sugli strumenti. Il batterista Matt Helders attacca con l'intro di Library Pictures, sesta traccia del loro ultimo album (Suck It And See), e subito la loro freddezza si scalda suonando. Il secondo brano è Brianstorm e il pubblico esplode. Io, se possibile, impazzisco ancora di più. Le canzoni le so praticamente a memoria. Riesco a capire addirittura che canzone avrebbero fatto dal cambio di chitarra o da come la mano era posizionata sul manico per suonare il primo accordo. Faccio schifo e sono un fissato, lo so, ma è amore.
Alex chiede come va. Sta andando da Dio, Alex. State andando da Dio.
Non mi pareva vero di sentire da vivo pezzi come Teddy Picker, Still Take You Home, The Hellcat Spangled Shalalala scritta apposta per far cantare il pubblico, The View From The Afternoon e I Bet You Look Good On The Dancefloor. Quando suonano When The Sun Goes Down divento un brivido vivente.
Quando sento 505 mi spengo un po', perchè so che è la loro canzone di chiusura. E così è.

Una giornata strepitosa e psico-fisicamente devastante. Ho visto cose che fino a ieri mi sono solo immaginato con le cuffie alle orecchie. Spero di riviverne altre di giornate così.
E soprattutto spero di poter ricantare di nuovo another fucking shalalala.


P.




Un ringraziamento a B., C., D. & S., senza di loro non sarebbe stata la giornata che è stata.

1 commento:

  1. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa (io sto continuando a cantare il finale di LSF..smetto solo quando Pizzorno mi da l'ok)

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