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venerdì 2 marzo 2012

The Magnetic Fields - Love At The Bottom Of The Sea

Merge/Matador, 2012


Voto: 6


Tornano i Magnetic Fields. Sì esatto, quelli di 69 Love Songs. Sì sì, proprio 69 canzoni. E sì, proprio sull'amore. Ed è un ritorno non solo discografico, a due anni di distanza da Realism, ma anche un ritorno all'uso di quei sintetizzatori che hanno caratterizzato la loro carriera passata a sguazzare tra il pop e i suoi sottogeneri (synthpop, indie pop e noise pop). Sintetizzatori che furono abbandonati per ben tre album che vanno a costituire una trilogia no-synth o free synth, che dir si voglia: i (2004), Distortion (2008) e Realism (2010). E Stephin Merritt e soci si diverton come bambini a ritrovare questo strumento che, per certi versi, è per loro una novità: hanno infatti dichiarato che "Most of the synthesizers on the record didn’t exist when we were last using synthesizers".
Il risultato? Un album di 15 tracce per poco più di mezz'ora di durata. Molto frammentario, in quanto nessun singolo brano supera i 3 minuti di lunghezza, ed è per questo molto difficile trovarne una o più che spiccano sulle altre. Mi vien da dire però che la prima parte di album è sicuramente molto più coinvolgente rispetto alla seconda: un mix di canzoni smielate (spesso, come nei precedenti album, le canzoni parlano d'amore) a sbavature elettroniche finalmente ritrovate e che non si vergognano di riproporre. Un album difficile da decifrare che nei diversi ascolti può passare da album dell'anno a delusione totale. E' spiazzante, forse più curioso che bello da ascoltare.
Per adesso è una sufficienza politica, a fine anno tireremo le somme.


P.





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